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Capitolo 10: Valantz & Nyxial Vs il Shyvrakth

  Valantz, invece di lasciarsi sopraffare dal timore, sorrise con aria di sfida. "Nyxial, puntalo."

  Nyxial nitrì, il suono profondo e potente, liberando dense ombre dalle narici e fiamme crepuscolari dalla bocca. Senza esitare, accelerò, lanciandosi verso la creatura a una velocità impressionante. Il Shyvrakth, a sua volta, si tuffò verso di loro, spalancando il suo becco terrificante, lungo e affilato come una lama seghettata, dai bordi ricoperti di un inquietante liquido nero che gocciolava come pece.

  Poco prima dell’impatto, Valantz alzò una mano al cielo e gridò: "Thalmyr!"

  Un fulmine squarciò le nubi sopra di loro, illuminando il cielo per un istante. La scarica colpì la mano di Valantz, che, come per magia, si trovò a stringere un martello. L’arma era gigantesca, dalla testa scintillante, decorata con rune antiche che brillavano di una luce azzurra pulsante. Il manico sembrava fatto di una lega d’argento e ossidiana, e l’energia che emanava era quasi tangibile, come se fosse un’estensione della furia di una divinità.

  Con un grido di battaglia, Valantz colpì con tutto il suo vigore. Il martello si abbatté sul becco del Shyvrakth, che sembrava un’arma letale a sé stante. Era nero, solcato da venature rosse, e la superficie era così affilata da far rabbrividire chiunque lo guardasse. L’impatto fu devastante: il becco si spezzò con un suono agghiacciante, simile al crepitio di ossa frantumate.

  La creatura emise un urlo straziante, poi perse i sensi e precipitò verso terra come un masso.

  Valantz, ancora soddisfatto del colpo, abbassò lo sguardo per vedere il mostro cadere, ma fu allora che il suo sorriso si trasformò in shock. Poco sotto di lui, Aster stava precipitando nel vuoto, urlando disperato.

  "Di nuovo?!" sbottò Valantz, esasperato.

  Nyxial sbuffò, rilasciando un’ondata di ombre irritate. "Degli elfi non ci si può proprio fidare," commentò con tono sarcastico.

  Senza aspettare ordini, il pegaso si tuffò in picchiata. Con agilità e prontezza, Valantz afferrò Aster un attimo prima che fosse troppo tardi, issandolo di nuovo sulla schiena di Nyxial. Aster, pallido come un vampiro, sembrava sul punto di vomitare, ma con un filo di voce riuscì a dire:

  "Grazie... Grazie a entrambi..."

  Atterrarono infine sulla cima della torre, dove un immenso nido li aspettava. Fatto di rami intrecciati e ossa spezzate, sembrava una trappola pronta ad accogliere chiunque osasse avvicinarsi.

  Il nido torreggiava sopra di loro come una fortezza spettrale, persino più alto di Nyxial, il più imponente dei tre. Rami nodosi e ossa spezzate si intrecciavano a formare una barriera naturale, acuminata come un muro di lance, un ostacolo insidioso che impediva a Nyxial di atterrarvi senza rischiare di ferirsi le ali.

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  Aster si voltò verso Valantz, la voce carica di speranza e ansia.

  "Sei sicuro che sia lì dentro?"

  Valantz annuì con fermezza. "Sì, la scia di note non mente. Gelsomina è qui."

  Aster non perse altro tempo. Si avvicinò al nido e cominciò ad arrampicarsi, afferrando con mani sicure i rami e le ossa che componevano quella struttura mostruosa. Ogni appiglio era insidioso, ogni presa minacciava di cedere sotto il suo peso. E infatti, un passo falso fu sufficiente: un ramo si spezzò di colpo sotto il suo piede, facendolo scivolare all’indietro. Con un riflesso disperato, si aggrappò a un osso enorme, più grande di lui.

  Un errore.

  L’osso, seghettato e affilato come una lama di pietra, gli squarciò il palmo della mano con un taglio profondo. Aster trattenne un grido e strappò via la mano ferita dall’osso, il sangue sgorgò copioso... e in quel momento vide comparire davanti a sé una barra rosso sangue. Si svuotò lentamente, di poco, ma abbastanza da farlo trasalire.

  "Ancora questa..." sussurrò.

  Era la seconda volta che la vedeva, ma la prima era svanita così in fretta da non lasciargli il tempo di capirla. Ora, invece, poté osservarla meglio: nessun numero, nessuna indicazione precisa, solo una barra riempita di sangue, con una singola scritta alla sua sinistra.

  Vita

  Aster strinse i denti e ignorò il dolore. Il sangue che colava dalla sua mano si dissolveva nell’aria in una pioggia di numeri e dati scintillanti prima ancora di toccare il suolo. Ignorando il fenomeno, si rialzò e con determinazione proseguì, fino a superare finalmente la barriera letale del nido.

  Ma Gelsomina non era lì.

  O almeno, non la vedeva.

  Il nido era un’orribile distesa di carcasse putrefatte e scheletri di ogni forma e dimensione. Teschi sbiancati dal tempo, alcuni umani, altri di creature sconosciute, erano incastonati tra le maglie del nido, come trofei di una caccia spietata. Vecchie armature, corrose dalla ruggine e spezzate dai colpi di un predatore più forte, giacevano disseminate tra le piume nere del Shyvrakth. Spade spezzate, scudi ammaccati e pugnali scheggiati facevano pensare a guerrieri che avevano tentato la sorte contro il mostro... e avevano fallito.

  L’odore era insopportabile.

  Un miasma di carne marcia e sangue rappreso, mescolato a quel tanfo acre e soffocante tipico dei necrofagi, impregnava l’aria. Ogni respiro era un tormento, un assalto ai sensi. Aster dovette coprirsi il naso con la mano ancora sanguinante, mentre il suo stomaco si contorceva in una morsa di disgusto.

  Con il cuore in gola, iniziò a scavare tra i resti, gettando via con foga piume luride e ossa spezzate.

  "Gelsomina!" la chiamò più volte, ma nessuna risposta.

  L’ansia si insinuò nella sua mente come un veleno. Sapeva che era viva... ma in che condizioni? Se fosse stata in fin di vita? Se non fosse riuscito a trovarla in tempo? Il pensiero lo spinse a frugare ancora più velocemente tra quella distesa di morte.

  Fu allora che le sue dita toccarono qualcosa di inaspettato.

  Non ossa, non piume, non rottami di battaglia.

  Un medaglione.

  Lo estrasse con cautela, osservarlo gli fece gelare il sangue nelle vene. Era un talismano dalla forma grottesca: un volto scolpito in un materiale scuro e lucido, simile all’ossidiana, con occhi larghi e vuoti, una bocca stirata in un sorriso grottesco che sembrava oscillare tra il beffardo e il malvagio. Intarsi dorati ne decoravano i bordi, conferendogli un aspetto prezioso... e al tempo stesso maledetto. Sembrava ridere di lui, come se contenesse un’anima intrappolata.

  Senza pensarci troppo, Aster lo infilò nella tasca del pantalone e si voltò per riprendere la ricerca.

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